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martedì 18 settembre 2007

IL PANTHEON

da "Le Memorie di Adriano"


La data prescelta (...) era il giorno anniversario della fondazione di Roma (...) dell'anno 882.Mai la primavera romana era stata più dolce, più intensa, più azzurra. Lo stesso giorno, con solennità più austera, ma quasi in sordina, ebbe luogo una cerimonia dedicatoria all'interno del Pantheon. Avevo ritoccato di persona i progetti troppo cauti dell'architetto Apollodoro. Delle arti della Grecia volli servirmi per le decorazioni, come per un lusso supplementare, ma per la struttura dell'edificio ero risalito ai tempi primitivi e favolosi di Roma, ai templi rotondi dell'Etruria antica. Avevo voluto che quel santuario di tutti gli dèi riporducesse la forma della terra e della sfera stellare, della Terra dove si racchiudono le sementi del fuoco eterno, della sfera cava che tutto contiene. Era quella, inoltre, la forma delle capanne ancestrali nelle quali il fumo dei più antichi focolari umani usciva da un orifizio aperto alla sommità. La cupola, costruita d'una lava dura e leggera che pareva partecipe ancora del movimento ascensionale delle fiamme, comunicava col cielo attraverso un largo foro, alternativamente nero e azzurro. Quel tempio aperto e segreto era concepito come un quadrante solare. Le ore avrebbero percorso in circolo i suoi riquadri, accuratamente levigati da artigiani greci: il disco del giorno vi sarebbe rimasto sospeso come uno scudo d'oro; la pioggia avrebbe formato una pozzanghera pura sul pavimento; la preghiera sarebbe volata simile al fumo verso quel vuoto nel quale collochiamo gli dèi.Quella festa fu per me una di quelle ore in cui tutto confluisce...

kyagros

sabato 21 aprile 2007








sabato 3 marzo 2007

ADRIANO E MARGUERITE

“questo libro è il condensato di un’opera enorme elaborata per me sola”… poche semplici parole, sincere e dirette, scritte da Marguerite Yourcenar nei suoi taccuini personali e dunque per lei sola… le “memorie”...un libro scritto per se stessa che è divenuto nel tempo un best-seller a livello mondiale e che ha il potere, oseremmo dire “divino” (così come si confà del resto ad un potere imperiale), di condurci verso un viaggio affascinante nell’Animo umano e nelle sue contraddizioni… C’è in adriano, un qualcosa di ogni uomo…e di ogni donna. Il suo spirito è quello dell’Uomo, della razza umana sospesa tra umano e divino alla ricerca di equilibri forse introvabili ma di sicuro irrinunciabili… E c’è in adriano un qualcosa di divino, che lo rende sempre consapevole, “quasi saggio”per definirlo con le parole di marguerite... marguerite che seppe ricostruire il percorso di un uomo immerso nel suo tempo e allo stesso tempo libero da ogni convenzione sociale , fisica e temporale…un uomo libero non solo per via delle sue scelte, non solo per la sua capacità e possibilità di scegliere, ma soprattutto perché seppe sempre, lasciare libero il suo spirito e il suo cuore… adriano non sceglie la strada più facile ma nemmeno quella più difficile; lui sa che lo spirito nasce ingovernabile e sempre lotta per preservarne l’autenticità...adriano sa che amore ha mille facce e non ne rifiuta neppure una, mai…e così ama le donne ma ama anche un ragazzo, antinoo, che renderà divino nel tempio della sua anima prima e in quelli della storia poi, creando attorno a lui un culto che resisterà per molti secoli; e amerà la storia nelle vesti della sua splendida e irraggiungibile creatura: ROMA, il cui nome, come lui stesso ricorda nelle sue memorie, altro non è che il nome del dio AMOR… adriano insomma amerà la vita tanto da non negarsi mai di guardarla “ad occhi aperti” e tanto da non rinunciare mai al tentativo folle e saggio di trovare “la cerniera che congiunga volontà e destino”… perché se anche adriano non si ribella al fato, spesso riesce, nel suo VIVERE la vita, a costruire il proprio…così come seppe fare marguerite che, nel ricostruire meticolosamente questa eccezionale figura della storia, trovò l’ispirazione per vivere una vita nella serenità che solo un sano e mai forzato anticonformismo sa dare… il viaggio nel mondo della yourcenar attraverso le memorie di adriano, dunque, altro non è che un viaggio in adriano attraverso le memorie della yourcenar…

DIVINO ANTINOO




...quella morte era un dono(...)un fanciullo(...), aveva trovato quel mezzo per legarmi per sempre a lui... Antinoo muore tragicamente nelle acque del sacro fiume Nilo "il primo giorno del mese di Athir, l'anno secondo della duecentoventesimasesta Olimpiade..." Antinoo muore e Ariano ne resta sconvolto e, come sempre accade, realizza d'un tratto la forza di un legame che aveva, forse, dato per scontato... Le pagine delle "memorie"che narrano la morte di Antinoo sono tra le più intime, tra le più forti nel loro potere evocativo, tra le più commoventi nella loro descrizione dell'amore perduto... L'imperatore si spoglia della sua divinità e si sente fragile come mai prima, d'un tratto solo in mezzo al mondo ma mai, neppure nei momenti più duri, perde la lucida consapevolezza di chi guarda la vita con occhi aperti... Vive il dolore del distacco, la paura che dona il rimpianto per un tempo che non può tornare, e sente il peso di un gesto compiuto per troppo amore. Egli infatti sa, ancor prima che le prove lo dimostrino, che la morte del fanciullo non è un incidente ma un gesto compiuto con coscienza col quale Antinoo, sacrificando la propria esistenza, spera di allungare quella del "suo imperatore"... Antinoo si nega per sempre ad Adriano nel tentativo di regalare l'eternità a un amore totale e di fare ciò che crede giusto per Adriano... Rinunciando alla sua vita intende offrire agli dei un pegno così importante che questi non potranno negargli le grazie che lui chiede per il "suo imperatore"... E Adriano ne istituirà un culto che si perpetuerà nei secoli e che sarà fonte di ispirazione per artisti di ogni generazione che cercheranno di immortalare l'immagine di un giovinetto che si diede la morte per regalare la vita... Esiste una più alta manifestazione dell'Amore? Esiste un sentimento così forte come quello di chi rinuncia a sè per il bene dell'altro? Adriano sa bene che il "suo giovinetto" è in questo più che umano e dunque che merita di essere innalzato allo status di divinità...

giovedì 1 febbraio 2007

PUBLIO ELIO ADRIANO, IMPERATORE



















Si crede che Traiano, trovandosi sul letto di morte, adottasse come figlio P. Elio Adriano. Nessuna prova però abbiamo di questo fatto. Alcuni pensano che sia stata Plotina, moglie dell'imperatore, a simulare quest'adozione per il grande affetto che nutriva per Adriano. Il futuro imperatore si trovava in Antiochia in qualità di governatore della Siria quando ricevette l'annunzio dell'adozione: due giorni dopo gli pervenne la notizia della morte di Traiano.
Come quest'ultimo, Adriano discendeva da famiglia italiana trapiantatasi al tempo di Scipione in Spagna, ad Italica, e qui era nato nel 76. Sua ava era una zia di Traiano; all'età di dieci anni, morto il padre, Traiano era stato nominato suo tutore e alla scuola di un così grande soldato era cresciuto il giovanetto, che lo aveva seguito in ogni guerra e ne aveva avuto consigli, esempio ed onori.
Nel 98 era stato Adriano a portare a Traiano nella Germania superiore la notizia della morte di Nerva; poco tempo dopo aveva stretto i legami di parentela con l'imperatore sposandone una pronipote, Sabina; lo aveva accompagnato nella Prima e nella Seconda guerra contro i Daci e in quest'ultima si era tanto distinto da meritarsi un dono di grande valore e di altissimo significato: l'anello prezioso che Traiano aveva ricevuto da Serva il giorno dell'adozione. Al pari del defunto imperatore Adriano era alto e forte, camminatore instancabile, cavaliere eccellente, perfetto tiratore d'arco. Andava sempre sotto qualunque clima a capo scoperto; era cacciatore appassionato; audace e nello stesso tempo prudente, di maniere semplici, frugalissimo, amante delle armi e dei viaggi. Ciò che però lo distingueva da Traiano era l'amore delle lettere e delle arti. Di grande memoria, d'ingegno vivace e di parola facile, Adriano si intendeva di musica, di pittura, di scultura, di architettura, di filosofia, scriveva in prosa e in poesia, in greco e in latino; in greco anzi era così versato ed era così amante della civiltà e della cultura ellenica che a Roma gli avevano messo il nomignolo di "graeculus". Appena ad Antiochia si seppe dell'adozione di Adriano e della morte di Traiano, le truppe acclamarono imperatore il loro generale, ma Adriano, il quale, oltre ad essere un prode soldato era un avveduto uomo politico, disse loro che solo il Senato aveva il diritto di eleggere il principe, indi scrisse al Senato chiedendo che gli fosse confermato il potere imperiale e giurando di governare per il bene dell' impero. «Il principe appartiene allo stato e non lo stato al principe» scriveva e nello stesso tempo domandava che fosse fatta l'apoteosi di Traiano. Il Senato rispose confermandogli la potestà e Adriano fu sollecito a ingraziarsi la Curia promettendo che non avrebbe mai firmato, senza il consenso dell'assemblea, alcuna sentenza di morte a carico di un senatore. Conquistata la stima dei senatori cercò di ingraziarsi il popolo e le legioni facendo loro le solite elargizioni. Nell'agosto del 118 fece il suo ingresso a Roma. Voleva il Senato che il trionfo decretato a Traiano fosse da Adriano solennizzato in suo onore ma il nuovo imperatore rifiutò e in memoria del defunto fu celebrato un trionfo splendido durante il quale la statua del conquistatore della Dacia venne portata nel tempio di Giove sul Campidoglio. Più tardi, il 24 gennaio del 119, ricorrendo l'anniversario dell' imperatore, furono dati giuochi magnifici in cui cento leoni ed altrettante leonesse furono uccise nel circo. Per accattivarsi ancora di più la simpatia del popolo di Roma e dei provinciali Adriano con un atto di opportuna generosità ridusse i debiti di questi ultimi, a quello distribuì un doppio donativo, ai cittadini condonò i debiti che verso il fisco avevano contratti da sedici anni per una somma che raggiunse la cifra di novecento milioni di sesterzi e stabilì che ogni quindici anni si facesse una revisione dello stato dei debiti e che le imposte, anziché col sistema degli appalti, venissero riscosse direttamente. L'impero di Adriano si inaugurava coi migliori auspici, ma sciaguratamente delle condanne ne avevano macchiato gli inizi, condanne che ci mostrano come non da tutti fosse ben vista l'assunzione al principato del nuovo imperatore. Non tutti, difatti, erano contenti della scelta di Adriano. In lui parecchi, che appartenevano alla nobiltà guerriera ed erano seguaci della tradizione romana, vedevano un capo che tendeva a scostarsi dalla linea seguita da Traiano, un uomo che prediligeva molto l'ellenismo a scapito del romanesimo, un principe che alla politica di espansione preferiva una politica di raccoglimento e di difesa. Costoro inoltre avevano motivi personali di risentimento verso l'imperatore. Fra questi erano A. Cornelio Palma, il conquistatore dell'Arabia Pètrèa, e Lucio Quieto, valoroso generale che molto si era distinto sotto Traiano nelle guerre di Oriente. A Palma da Traiano era stato tolto il comando e il generale attribuiva la causa della sua disgrazia al malanimo di Adriano; Quieto era stato esonerato dal comando delle legioni della Palestina e poi anche dal governo della Mauritania. Quieto e Palma si erano uniti ai due consolari Publilio Celso e Avidio Negrino e tutti a quattro avevano organizzata ai danni dell' imperatore, mentre lui era assente da Roma, una congiura che però era stata sventata dalla vigilanza di Attiano e Sulpicio Simile, prefetti delle coorti pretorie. II Senato fu sollecito a mandare a morte i quattro congiurati. Adriano si mostrò spiacente che a sua insaputa si fosse tolta la vita ai colpevoli e fece capire che se i quattro non fossero stati così frettolosamente soppressi egli avrebbe concesso loro la grazia. Per confermare i suoi intendimenti tolse dalla carica Attiano e Simile e in loro vece diede il comando dei pretoriani a Claro e Turbone, poi rinnovò la dichiarazione, già fatta per lettera, che non avrebbe firmato per nessuna condanna capitale a un senatore.





"Ma la politica non fu che un aspetto della vita di un uomo che seppe gestire il suo tempo coniugando la sua carica a governatore del mondo e la sua irrinunciabile umanità. Fu proprio quest'ultima a condurlo verso mete sempre nuove di conoscenza e arricchimento spirituali ma anche fisiche. Adriano, infatti, seppur "divino", non smise mai di essere umano e attraversò la vita come un viaggio le cui tappe furono scandite dall'incontro con "l'altro" ma che fu innanzitutto viaggio da compiere dentro di sè..."
(di C.C.)









I VIAGGI DI ADRIANO





I viaggi di Adriano furono promossi da irrequietezza di spirito e da desiderio di vedere e godere, nonchè dalla necessità che l'imperatore sentiva di osservare le condizioni delle province e di provvedere ai loro bisogni e al loro sviluppo. Per la prima volta con Adriano le province non sono considerate come terre di sfruttamento né sono guardate inferiori come importanza rispetto all'Italia, ma richiamano l'attenzione del governo e da questo ricevono attentissime cure. Adriano trascorse nelle province circa tre lustri del suo impero, in qualcuna di esse fece lungo soggiorno, di tutte fece oggetto della sua attenzione, arricchendole di città e di monumenti, munendole di difese alle frontiere, promovendovi l'industria e il commercio, migliorandone la viabilità e regolandone l'amministrazione. È ancora incerta, malgrado le molte e pazienti ricerche degli eruditi, la cronologia dei viaggi d'Adriano e le date che noi riferiamo sono approssimative, ma più che le date hanno importanza i risultati del lungo peregrinare dell' imperatore. I suoi viaggi hanno forse inizio un anno dopo del suo ritorno a Roma dall'Oriente. Egli cominciò col visitare la Gallia, dove fu, come pare, nel 119. La romanizzazione delle tre province galliche era molto avanzata, il druidismo era stato quasi debellato, era diffuso il paganesimo e faceva la sua comparsa anche il Cristianesimo; estesa era la rete stradale, di molta sicurezza godevano le campagne, grandi città ricche di templi, di teatri, di biblioteche, di bagni, di scuole, vi sorgevano, vi fiorivano industrie ed attivi erano i commerci. La Gallia si sentiva oramai strettamente legata alla vita dell' impero, cui forniva ottimi soldati, eccellenti generali e un patriziato sollecito della prosperità dello Stato. Essa era inoltre sicura dalle incursioni barbariche per gli imponenti lavori di difesa ch'erano stati compiuti tra il Reno e il Danubio (limes agrorum decumatum). La gratitudine per quanto Adriano aveva fatto per le tre province, la espressero all' imperatore i rappresentanti convenuti a Lugdunum. In Gallia venne coniata una medaglia dedicata al restauratore della provincia (Restitutori Galliae), che doveva esser la prima di una serie di medaglie in onore dell'imperatore fatte dalle altre province con lo stesso motto. Dalla Gallia Adriano si recò nella Germania superiore e in quella inferiore dove diede impulso alle fortificazioni di frontiera e provvide alla disciplina delle legioni e all' ingrandimento e alla sicurezza dei campi militari; poi passò nella Britannia, nella quale, dopo Claudio, forse nessun imperatore romano era stato. La provincia cominciava a romanizzarsi e con lo sfruttamento delle miniere di stagno, rame ed argento e l'esportazione di parecchi prodotti locali prometteva di non essere ancor per lungo tempo passiva. Ciononstante nella parte settentrionale continuava ad essere esposta alle incursioni dei Caledoni che vi avevano sterminata una legione (la IX). Adriano, seguendo la sua politica di difesa, ordinò una linea di sbarramento munita di trincee e fortini e dotata di strade che dalla foce del Tyne doveva andare alla baia di Soiway. I lavori dell' importante linea, la più grande opera di difesa dei confini mai realizzata dai romani, di cui ancora oggi rimangono notevoli avanzi, e che si ebbe a nome di Vallum Hadriani, furono cominciati nel 122 e terminati nel 124. Dalla Britannia l'imperatore, attraversando la Gallia, passò nella Spagna la quale,delle province romane di Occidente,era forse la più fiorente. Molte città belle e grandi vi sorgevano e i costumi degli antichi popoli iberici avevano ceduto il posto alle costumanze romane; la lingua di Roma vi era perfettamente parlata, scuole importanti vi erano state istituite, strade ampie e sicure mettevano in comunicazione le vane città della penisola e questa con la Gallia; sviluppata era l'agricoltura e l'olio, il vino e i cerali venivano esportati nelle altre regioni dell' impero; oltremodo redditizia era l'industria mineraria. In Spagna Adriano non riuscì a fermarsi a lungo. Si trovava a Tarracona, forse nell'inverno del 123, quando un' insurrezione scoppiata nella Mauritama lo costrinse a passare in Africa. La sua presenza valse a quietare questa regione occidentale africana, la quale resisteva ancora tenacemente alla penetrazione delle armi e della civiltà romana. Anche qui l'imperatore dovette prendere provvedimenti per la difesa militare e dopo un'offensiva verso l'Atlante iniziò la costruzione di un vallum. Inoltre trasferì i quartieri della Legione III Augusta a Lambese, dove più tardi troveremo l'infaticabile Adriano.Dalla Mauritania, forse per mare e facendo delle soste nelle città della costa, si recò in Egitto donde passò in Oriente. Ve lo chiamava il contegno di Cosroe che faceva preparativi di guerra. Adriano ebbe un convegno con il re dei Parti, gli restituì la figlia e, allontanato il pericolo di un conflitto, fu in grado di andare nelle altre province asiatiche che, per avervi a lungo soggiornato, conosceva molto bene, e dove, malgrado il numero non indifferente dei coloni e dei mercanti italici, la civiltà manteneva sempre il suo aspetto orientale. Più che altrove, in questo suo primo viaggio in Oriente, Adriano si trattenne nell'Asia Minore. "Pochi paesi potevano competere con l'Asia minore per ricchezza. Nell'interno splendide foreste, fertili campi di biade, immensi armenti; mentre il legname e le lane, frigie e galate erano oggetto di un largo commercio di esportazione. Sulla costa meridionale e occidentale, dalla Cilicia all'Ellesponto, numerose e prosperose le città e le industrie, in primo luogo le tessiture". Del resto nel vasto impero ormai aperto al commercio queste industrie avevano trovato nuovi e ricchi clienti, cosicché si erano sviluppate anche in alcuni paesi dell'interno, ad esempio nella Cappadocia, per opera dell'elemento semitico. Strano paese insomma, in cui l'ellenismo si era incrostato sulla varietà delle tradizioni e dei costumi nazionali e ove il romanesimo veniva ad aggiungersi all'ellenismo. Nell' insieme però l'Asia Minore, sotto la vernice della grecità, era rimasta orientale. La sua letteratura era improntata alla fantasiosità, alla mollezza, alla verbosità, alla leggerezza asiatica; la religione era una caotica mescolanza di mitologia ellenica, di culti egizio-fenici, giudaici, cristiani, nonché di culti prettamente asiatici, come quello di Mitra, di Cibele, di Attis. In queste province Adriano soggiornò parecchi mesi, ma vi sarebbe tornato altre volte per più lunghi soggiorni tanto che ogni luogo avrebbe serbato la traccia del suo paesaggio. Città demolite dai terremoti, resuscitate dalle rovine; città bisognose o modeste, soccorse o abbellite; grandi porti, strade, monumenti di pubblica utilità costruiti con il suo aiuto o per suo consiglio e incitamento" (Ferrero e Barbagallo). Dall'Asia l'imperatore ritornò in Grecia, la provincia che tanto amore e tanta venerazione gli ispirava, ma che dall'antica grandezza era miseramente decaduta. Visitata la Tracia, la Macedonia, Epiro e la Tessaglia, nell'estate del 126 si recò ad Atene, centro ancora fiorentissimo di studi. Dopo Roma forse la Grecia ebbe da lui le maggiori cure. Corinto, rapidamente rifiorita sulla vecchia città distrutta, divenne la principale città greca; sì arricchì di bagni, di una magnifica via militare che attraversava l'istmo e di un acquedotto che trasportava l'acqua del lago Stymphalos. Nomea fu dotata di un ippodromo, Mantinea di un superbo tempio a Nettuno. Ad Argo offrì un pavone d'oro che venne collocato nel tempio di Giunone e rimise in vigore le corse equestri dei giuochi Nemei. Ma ad Atene, dove visse più a lungo e dove forse più di una volta si recò, ad Atene che lo nominò cittadino ed arconte e lo vide per le sue vie in abito greco discorrere coi filosofi e con gli artisti, Adriano dedicò le cure più grandi e più amorose. Condusse a termine il tempio di Giove Olimpico cominciato più di sei secoli prima e sul piano dell'Ilisso fece costruire un nuovo, grande quartiere, diviso dalla vecchia città da un superbo arco trionfale che da un lato portava nell'architrave la scritta : «Questa è Atene, l'antica città di Teseo» e dall'altro: «Questa è la città di Adriano». Questo quartiere fu dotato di pregevoli monumenti dovuti all'ingegno di Erode Attico, fra cui degni di menzione il tempio della Fortuna con portici e biblioteca, un ginnasio sorretto da cento colonne e un tempio magnifico - il Panthellenion - presso cui dovevano celebrarsi le feste nazionali dei Greci. Un'altra città, che presto prese grande sviluppo, fu fondata nella Tracia che dall'imperatore prese il nome di Adrianopoli. Tornato a Roma verso la fine del 126, vi si trattenne fino all'estate del 128. In questo soggiorno nella metropoli dell' impero egli abbellì Roma di grandiosi monumenti: costruì il tempio di Venere e Roma al quale abbiamo accennato, presso l'anfiteatro Plavio, arricchì di edifici il Foro Traiano; oltre il Tevere, di là dal ponte Elio, innalzò il suo Mausoleo (Mole Adriana), rivestita di marmo pario e coronata di statue, giunta fino a noi col nome di Castel S. Angelo; sul Campidoglio fondò l'Ateneo dove pubblicamente dovevano essere insegnate la filosofia, la retorica e la giurisprudenza, e presso Tivoli edificò una villa grandiosa, dentro la quale fece riprodurre i più bei monumenti ammirati nei suoi viaggi, come il Liceo, l'Accademia, il Pritaneo e il Pecile di Atene, e raccolse le migliori opere d'arte della Grecia e dell'Oriente. Nell'estate del 128 Adriano si rimise in viaggio. Nel luglio di quest'anno lo ritroviamo in Mauritania ad arringare i soldati di Lambese, poi in Grecia e infine in Asia. Visitando la Siria, si spinse fino a Palmira, la città del deserto, che dotò di importanti edifici ed elevò al grado di colonia, poi scese nella provincia d'Arabia fino a Petra che in onore dell'imperatore prese il suo nome. In quella estrema provincia fece costruire strade che l'allacciarono meglio con la Siria, la Palestina e l'Egitto. L' Egitto fu visitato dopo l'Arabia: vi entrò da Pelusio e, dopo avere risalito il Nilo, si diresse ad Alessandria (131). Conduceva con sé un giovane di Claudiopoli, nella Bitinta, di nome Antinoo, bellissimo di viso e di forme di cui l'imperatore si era invaghito. Antinoo, durante quel viaggio, per caso o volontariamente, durante un bagno perì nelle acque del Nilo, e l'imperatore in memoria di lui fece ricostruire il villaggio di Bese cui pose il nome di Antinoopoli, gli eresse una magnifico tempio e istituì un nuovo culto in suo onore che avrà notevol importanza nei secoli avvenire. Negli ultimi mesi del 131 Adriano fece ritorno a Roma dove consacrò il tempio di Venere e Roma e fece approvare dal Senato 1'Editto perpetuo. L'anno seguente una nuova ribellione scoppiò in Palestina. Questa già covava da tempo, fin dalla morte di Trajano. Nei primi anni dell' impero di Adriano un moto insurrezionale, di cui abbiamo fatto cenno, aveva avuto luogo: era stato presto soffocato, ma gli Ebrei non si erano rassegnati alla perdita dell'indipendenza e le scuole rabbiniche, sorte nelle minori città della Giudea, tenevano desti gli spiriti. Per mettere termine alle agitazioni Adriano istituì a Gerusalemme una «colonia militare cui diede il nome di Elia Capitolina e la distrutta città la fece risorgere con edifici di stile greco-romano e con templi pagani; sul luogo dove sorgeva il famoso tempio di Jehova fece innalzare un tempio a Giove Capitolino. Questa costruzione che offendeva il sentimento nazionale e religioso degli Ebrei fece divampare la rivolta in tutta la Giudea nell'anno 132. Il gran rabbino Akiba mise alla testa della rivolta un giovane audace e fanatico, Bar Kokeba, (figlio della stella) che venne considerato come l'atteso Messia. In breve tutta la Giudea fu in fiamme: il legato Q. Tìneo Rufo tentò di domare la rivolta, ma venne sconfitto; la stessa sorte ebbero altri due generali romani. Adriano corse in Palestina e mise a capo dell'esercito il più valoroso generale del tempo, Sesto Giulio Severo, che si era distinto nelle guerre di Britannia. Ma quello di Severo non fu compito facile; i ribelli, che si erano resi padroni della Samaria e dell' Idumea, resistettero accanitamente e fu necessario ai Romani prolungare la lotta fino al 136 per avere ragione della rivolta. Fu in quest'anno che essa venne finalmente domata. La fortezza di Bethar cadde per ultima e con le armi nel pugno vi trovò la morte Bar Kokeba. Questa guerra costò perdite enormi ai ribelli: cinquanta fortezze furono espugnate e novecentottantacinque paesi distrutti; oltre seicentomila combattenti vennero uccisi; i superstiti vennero venduti come schiavi e i capi della ribellione, specie i rabbini, furono mandati al supplizio. Gli Ebrei non, ebbero più la loro patria e la città santa della loro religione.



"Nessun imperatore prima e dopo Adriano trascorse così tanto tempo lontano dalla capitale; nessun imperatore seppe donare alle province altrettanta considerazione e forse nessun imperatore seppe, in così breve tempo, costruire così tanta bellezza per le sconfinate terre dell'impero. Eppure l'eccezionalità di Adriano non risiede solo nel suo esser stato forse il primo "imperatore globale", ma soprattutto nel suo aver attraversato l'impero così come fece con il percorso della vita, consapevole, proprio lui che aveva così tanto viaggiato, che la vera conquista non sta nell'avere nuove terre ma nell'avere, sempre, occhi nuovi..."

(di C.C.)

TIVOLI ANTIQUA






LA MERAVIGLIA CHE SUSCITA L'INGRESSO NELLA SACRA TERRA DI TIVOLI RESTA NEL CUORE DI CHI, VISITANDOLA, TORNA A CASA RICOSTRUENDO NELLA MENTE QUEL TEMPO PASSATO, NELLA CONSAPEVOLEZZA CHE MAI RITORNERA' SE NON NELLA MEMORIA DI COLORO CHE RENDERANNO SEMPRE ONORE A QUEI TEMPI. DENTRO LA FORMA DI RUDERI ANIMATI SI COGLIE LA GRANDEZZA DI COLUI CHE VOLLE SEMPRE ESSERE RESPONSABILE DELLA "BELLEZZA", ONORANDOLA IN OGNI FORMA E PAERTECIPANDOLA A QUANTI, NEI SECOLI, ATTRAVERSANO LE PAGINE DELLA SUA STORIA. TIVOLI è ADRIANO, FORTEMENTE, DICHIARATAMENTE MA ANCHE MISTERIOSAMENTE...TIVOLI è L'IDEA CHE SOPRAVVIVE, AL TEMPO E ALL'ACCANIMENTO DI CHI CERCHI DI CONTRASTARLA...TIVOLI è LA CASA DI UN UOMO CHE EBBE PER CASA IL MONDO E CHE SEPPE FARE UNA SINTESI DELLE BELLEZZE CHE IL MONDO GLI AVEVA OFFERTO NELLA SUA CASA DA OFFRIRE IN DONO ALLA MEMORIA DEI TEMPI...
(di kiàgros)









"Tutto mi girava attorno in quella sala dove le teste dei buoi selvatici dei trofei barbari pareva mi ridessero in viso. Le giare si succedevano; qua e là zampillava un canto avinazzato, o il riso lascivo e insolente di un paggio; l'imperatore, posando sul tavolo una mano sempre più malferma, murato in una ebbrezza forse in parte simulata, sperduto, lontano da tutto, sulle strade dell'Asia, sprofondava gravemente nelle sue visioni..."

mercoledì 31 gennaio 2007

ANIMULA VAGULA BLANDULA








Animula vagula, blandula, hospes comesque corporis, quae nunc abibis in loca
pallidula, rigida, nudula, nec ut soles, dabis iocos..."
P. Aelius Hadrianus, imp.















"Piccola anima smarrita e soave, compagna e ospite del corpo, ora t'appresti a scendere in luoghi incolori, ardui e spogli, ove non avrai più gli svaghi consueti. Un istante ancora, guardiamo insieme le rive familiari, le cose che certamente non vedremo mai più...cerchiamo di entrare nella morte ad occhi aperti" ( Elio Adriano)



Questa l'iscrizione epigrafica conservata al mausoleo di Adriano a Roma, dove si scorge l'anima di un imperatore ormai alla fine dei suoi giorni carichi di saggezza. Dentro questa affemazione che possiamo considerare "ipsissima verba" di Adriano (lettera scritta a Marco Aurelio) troviamo lo spirito di un uomo che cerca la "continuità" con quanto costruito in vita e ne determina l'oggetto di ricerca all'interno di esperienze umane che lo accostano all'Eterno. Vivere e morire con la saggia certezza che il cammino di ogni uomo si risolve nel cercare la fatidica "cerniera" che congiunga "la volontà al destino"; vivere e morire con la lucida consapevolezza che la sfida per l'uomo consista nell'entrare e nell'uscire dalla scena di questa vita "ad occhi aperti", per non cadere nell'illusione che rende ciechi coloro che evitano il reale in ogni sfumatura. E sono proprio le "sfumature" a rendere Adriano imperatore e uomo capace di assimilare da ogni esperienza l'essenziale e il superfluo, il divino e l'umano, che si fondono in un'unica realtà: l'esperienza. ( di I.P.)